Tutte le storie riguardano una trasformazione.
E tutte le trasformazioni sono avvenute dopo aver superato una soglia: è quel momento in cui di fronte a un bivio abbiamo imboccato una strada, è l’invito a svegliarci che abbiamo accolto, è la sfida che abbiamo accettato non senza trepidazione.
Si tratta di un dettaglio illuminante, di una scintilla che ha acceso il nostro coraggio di diventare persone migliori.
Spesso questo passaggio corrisponde alla scoperta del nostro talento, della nostra unicità, del nostro scopo, della motivazione per cui vale la pena impegnarci per qualcosa di più grande di noi.
E allora rispondere alla domanda “di cosa ti occupi?” non significa più semplicemente indicare la nostra qualifica (“faccio l’imprenditore, il consulente, il designer, il coach…). Non siamo solo il ruolo che ricopriamo, i posti in cui abbiamo lavorato, i clienti che abbiamo seguito: siamo la storia che abbiamo vissuto da protagonisti.
Perché è importante usare le storie per raccontare il proprio brand?
Le storie colpiscono la fantasia, tengono desta l’attenzione, sono immaginifiche e si ricordano. Attirano, rapiscono la mente, incollano una persona a un’idea, un progetto, sono facili da condividere. Le storie appassionano, emozionano, persuadono.
Secondo lo psicologo Jerome Bruner, le probabilità di ricordare qualcosa sono 20 volte più alte se questo qualcosa fa parte di una narrazione.
Lo storytelling connota e distingue, comunica in modo irresistibile la nostra “grande differenza”.
Chi ha un brand forte conosce se stesso, comunica il proprio valore con passione, ricorre a parole cariche di entusiasmo, trasforma i propri casi di successo in narrazioni avvincenti, in storie coinvolgenti.
Cosa comunicare? Le 3 C del Personal Storybranding.
Per costruire e narrare la nostra storia possiamo partire da tre parole chiave:
1. Consapevolezza. Alessandra Cosso, nel suo bellissimo libro dal titolo “Raccontarsela” scrive: “Noi siamo un racconto in divenire. Noi raccontiamo e ascoltiamo storie per risuonare ed esplorare noi stessi”.
Decidere di raccontare la propria storia (personale o professionale) significa fare chiarezza, diventare più consapevoli di ciò che siamo o siamo diventati, cosa ci distingue e ci rende unici, vuol dire unire i famosi puntini di Steve Jobs, mettere ordine negli eventi dando loro un senso e una direzione.
Le storie organizzano, ordinano, sistemano, plasmano.
Senza le persone, le storie però non hanno ragione di esistere: ecco perché è importante riconoscersi ancor prima di raccontarsi, capire che chi siamo è più importante del lavoro che facciamo, andare oltre il personal brand, valorizzando non solo il proprio talento, ma anche la propria umanità.
2. Complessità. Se da una parte gli eventi storici, i fatti, gli incontri, le scelte, le direzioni prese e il percorso seguito per giungere a come siamo ora costituiscono la trama della nostra storia, dall’altra questa trama viene arricchita da un prezioso ricamo fatto di emozioni provate, sensazioni ricevute, aspettative, valori in cui crediamo che contribuiscono a formare la nostra identità.
Fare personal storybranding significa raccontare l’identità mescolando cuore e ragione, emozioni e informazioni. Mettere insieme la nostra Unique Selling Proposition, la nostra proposta di valore, con la nuova Emotional Selling Proposition, ovvero l’emozione che vogliamo suscitare con la nostra storia. De-aziendalizzare la nostra biografia ci consente di aggiungere passione alla nostra narrazione, mettere un po’ di pathos, di veemenza primitiva.
Senza emozione la storia non vive, non coinvolge, non interessa.
Senza emozione non c’è azione.
Nel progettare la nostra storia dovremmo sempre chiederci: come facciamo a far battere il cuore alle persone?
3. Calibrazione. Scegliere il personal storybranding non significa autocelebrarci accarezzando il nostro narcisismo, né lasciarci andare a parlare di noi stessi, per noi stessi. Vuol dire invece portare il nostro racconto a un livello strategico, progettarlo perché possa produrre gli effetti voluti, perché sia in grado di coinvolgere, trasformare, diffondere conoscenze e valore, moltiplicare quel capitale professionale che genera relazioni di valore e business.
Le storie non devono nascere per convincere tutti della nostra unicità, non si tratta di parlare a chiunque, né di piacere ad ogni costo per essere scelti in mezzo a tanti altri simili.
Raccontarsi implica anche definire a chi possa interessare la nostra storia e scegliere linguaggi, immagini, stili, sfumature che incontrino l’esperienza dei nostri interlocutori e trasmettano tutta la nostra autenticità e complessità.
C’ero una volta
Dietro ogni professionista, ogni persona, ogni impresa ci sono delle storie che attendono di essere trovate, raccontate e condivise. Le storie mettono le ali ai contenuti, li rendono più memorabili, più vicini alle esperienze delle persone e rendono tutta la comunicazione più interessante.
Abbiamo tutti una storia da raccontare.
Qual è la tua?
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